Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 19
Questi dicono che tutte le cose han potenza interna d’essere e
appetito di vita, e poi negano il senso, più, necessariamente, affermando,
perché non può essere chi non sa quel che gli nuoce e
giova, né può amare quel ch’è a sé buono se nol sa, né odiare quel
ch’è male, né fuggirlo se non si sente da quello struggere, il che
tutte le cose fanno, non solo quando strugger si sentono, ma quando
disponersi a destruzione presentiscono ancora. Qui è forza
laudare il Creatore che la sua imagine o vestigia in tutte cose impresse,
né lasciò facoltà necessaria né utile che a lor non donasse.
Si vanta un di questi autori ch’egli abbia trovato che nullo animale
erra dal suo fine e nullo altro ente, se non l’uomo, perché è
composto di ragione e di senso ripugnanti fra loro; e quelli sono
da Dio guidati ai lor fini. Gran sciocchezza, poiché si veggono
spesso errare, e io vidi un asino fottere un altro contra natura, e la
gatta mangiar i propri figli, e un cervo subagitare un asinello, e
mille cose far contra l’ordine naturale, se ben a loro non è colpa,
se non di perdere il seme; ma all’uomo s’imputa a gran pena maggiore
presso il Creatore.
Dunque non si deve dire che l’istinto divino le guidi, ma il proprio
senso; e a tanto son trascorsi questi savii che par che tolgano
il senso, non solo a gli enti tutti, ma anco alle bestie, perché si credono,
donando a loro discorso sensitivo, donargli anco mente
d’arbitrio libera come ha l’uomo, e non veggono quanta differenza
ci è tra la mente umana e questo senso commune, del che dissi
in Metafisica, e appresso de gli animali parlaremo. Ma sant’Isidoro
tutte queste conoscenze dona alle bestie, e volontà e discorso,
non che appetito, né però erra, poiché l’intende a modo animale
e non umano.