Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 47
penna pensando alla dottrina e non alli movimenti varii ch’io faccio,
ma sieguono da sé al moto dell’imaginante spirito.
Ma Aristotele, stando in quella pazzia che non può esser movente
e mossa la stessa cosa, toglie il moto all’anima ch’al vento e
all’aria si vede convenire. Pur egli più stoltamente vuol che il vento
sia dall’aria mosso, e tanta gran forza e velocità che getta arbori
e torri vuol che venga dal debole e insensibil moto dell’aria, e che
l’aria sia dal fuoco mossa, e il fuoco rapito dal cielo, e i cieli da gli
angeli immobili; e fa ch’ogni moto sia violento, e che il fuoco in su
sia mosso dal generante morto, e non dal proprio calore, e quell’altro
fuoco generato dall’altro, finché arriva a spropriar le cose
delle proprietà loro e dotarle di violenza. Del che assai in Filosofia
disputato abbiamo, che questi moti sono operazioni e azioni immanenti,
e non passioni, se non secondo la voce; però la communità
della voce non deve con l’edificazione e generazione e vettura
definirli: né potrà dire, in questo proposito, che il calor, dall’imaginativa
prodotto, mova il corpo, s’ei non è di natura mobile.
CAPITOLO 9
Lo spirito medesimo esser anima conoscente,
irascibile e concupiscibile e motrice
Pur Galeno, che li spiriti asserisce mobili, non vuol che i nervi da
loro intracaminanti si movano, ma dalla facoltà del cuore i polsi,
e li nervi dalla facoltà procedente dalla temperie del cerebro, e
li moti della nutrizione e coito, per conseguenza, deve attribuire
alla facoltà della temperie del fegato, poiché fa queste tre temperature
esser tre anime, cioè razionale, irascibile e concupiscibile; e
solo alla razionale dona senso, discorso e imaginazione; l’altre senza
senso pone, e pur vuole che obediscano e ripugnino come lor
piace alla razionale, li cui precetti non sentono, secondo lui. Ma
Platone, autore di questa opinione dopo Pitagora e Ippocrate, dona