Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 50
peggio di lui Vesalio, perché non vede i pori, e però li nega, che
già di molte fila i nervi son contesti, e in quelle fila, concotte in acqua,
si vede segno di pertugio, ma sì sottile che basta allo spirito
tenuissimo, e ancorché nol vedessimo, bisogna confessarlo. Dice
Galeno che come la luce del sole camina, e opponendole qualche
cosa non passa, benché sia incorporea, così la facoltà tra nervi pieni
d’umore nello spasmo non penetra. Ma questo a lui affermar
non lece, che pone corporeo anco il calore nativo, anzi composto
di più qualità, e vuole che ogni cosa sia temperie di quattro elementi:
però questa incorporea facoltà dalla temperie corporea del
cerebro venir non può dire. Ma per noi è chiaro che il temperamento
del cerebro e del cuore e del fegato son materiali e grossi,
e non han virtù diffusiva, come il sole, che possa incorporea virtù
sì lungi mandare e subito rivocare, come avviene nei moti.
Vuole pure mostrar Galeno che le virtù pulsanti e cuocenti non
abbian senso, perché noi, volendo, non potemo dall’opere loro distoglierle.
Nullo può dire al polso e al cuore che non si mova, né
al fegato che non cuoca e trasmandi sangue; ma può da sé movere
le gambe, le braccia, come li piace ciascuno, e quetarle. Dunque,
altre sono azioni volontarie fatte con sentimento, altre naturali e
vitali senza senso; e si vede che, affetto il cuore, si perde il polso e
l’animosità, e, affetto il fegato malamente, non si nutrisce bene l’animale
e perde l’appetito, e, affetta la testa, perde la memoria, il
discorso e il senso. E dal cuore nascono l’arterie, dove son più
grosse e hanno il tronco loro, dal fegato le vene, dove son anco più
grosse, e dal cerebro i nervi, strumenti de’ moti arbitrarii. Ma questo
non si può ben affermar da lui stesso, che nel libro De semine
prova, contra Aristotile, che di rosso e sanguigno menstruo non
si può formar osso né nervo, vene, arterie e cartilagini bianche et
esangui, ma dal seme. Dunque, dico io, non può derivarsi dal cuor
sanguigno e dal fegato rosso la vena e l’arteria, ma tutti pendono
dal cerebro bianco et esangue, com’essi sono. E certo Ippocrate
mostrò che prima si faccian di seme questi vasi e canali, e poi tirino