Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 52
affinato l’arterie: dal che si vede che dal capo viene il polso, poiché
in tutti gli affetti suoi il polso scema o si perde. Né potria farsi
per consenso del cuore, come dicono, se il cuore anco non sentisse
con loro, ché questo è il consentire. Né ci saria chi facesse l’animale
uno, se non fusse unità di spirito, perché queste viscere separate
sarian come tre città, per stare nei loro esempi, che l’una
l’altra non sentendo non aiutaria; ma si vede nello studio delle
scienze che mal si cuoce il cibo e mal batte l’arteria: dunque i medesimi
spiriti corrono alla speculazione e tralasciano quelli atti, o
pochi ne restano a farli.
Or se tanto è necessario il polso che rifà lo spirito che sempre
esala, come vampa di candela, non si può fermare, né la nutrizione
ancora, ma bene alquanto la respirazione, perch’ella infonde il
vento al cuore per eccitare e avvivare il calor nativo come mantice,
e convertir il sangue in spirito fra l’arterie, egli medesimo facendosi
spirito; e questo atto si può tardare alquanto, ma, cessando
essa respirazione, il nativo calore e spirito vien fuori, non sendo
risospinto in dentro dal vento, come dentro i carboni il caldo
tornare il mantice fa, e vincere il legno, e infocarlo, e avvivarsi. E
per questo si muore senza respirare, come il fuoco senza esser soffiato.
E qui ti guarda parte dell’errore d’Aristotile e parte di Galeno,
che dicono farsi per rinfrescare il cuor focoso tal respirazione,
perché ne’ freddi morbi e tempi non si faria. Né Dio inconsideratamente
ha posto tanto caldo che habbi bisogno di continuo
fresco; ma tal artificio per dar vita e spirito al vivo fuoco e molino
animato fu fatto. Però si vede che li più necessari moti manco si
ponno commandare che cessino, e questo è segno che il caldo tutto
opera, che a sé non può imperare contra sé, e che sia principe
e non strumento, come Aristotile pensa; ma ben ferma i piedi e le
braccia quando vuole, perché questi moti non son fatti per ristorar
lo spirito immediatamente, ma per fuggir gl’incommodi e seguir
li commodi, e posar la mole che da troppi moti si dissolve; e
così provede lo spirito a sé che sempre si mova, e al corpo che si
mova quanto è bisogno a lui, e non più.
Qui si può condannare Galeno assai, che al cerebro, immobile
per sé, donò la virtù motrice, e non allo spirito mobilissimo. Ma