Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 6
esce alla mano per discacciarlo. Ingrassa poi la neve perché ha
calor blando nativo, atto a questo; ma il freddo suo è strano e
non essenziale, poiché tanto freddo che constituisca et entri nelle
opere della natura nunqua si può vedere, essendo il sole assai
più che la terra possente; e il salnitro raffredda, perché il freddo
del vino estrinseco, sentendo quel moto avverso e odor nemico,
si concentra e cresce; ma se lunghissimo tempo si facesse, ei
si struggeria e scalderia il vino. La paura è la stessa fuga che fa lo
spirito vitale caldo alle parti interiori per non esser offeso dal nemico
disastro, onde le parti estreme restano manco calde e quasi
fredde, e più subintrando l’aria, e tremano, ché non hanno tanto
spirito che il loro pondo sostenga. È pure accidentale, non
essenziale azione che il vivo ammazzi l’altro, e nell’arte non si ricerca
similitudine naturale tra l’effetto e la causa; onde questa
scrittura è fatta da me che non sono scrittura, ma ho la similitudine
della scrittura in mente, e però la dono a questa carta. Né allo
stromento, ma al principale agente sembra ogni effetto. Però
questa dottrina alla mia mente si somiglia, e li tratti del carattere
alla penna e inchiostro nel colore e grossezza e sottilezza, perché
di questo essi stromenti sono più principali che io; ma non del figuramento.
Per tanto, quando l’uno occide l’altro, la morte è simile alla
mente dell’occisore, non all’essere; e la ferita è larga e grossa simile
alla spada; e quando lo fa a caso è simile al pensiero del primo
movente, a cui nulla è caso. Nondimeno, quando il calore uccide
il freddo scacciandolo dal legno, e struggendolo in tutto, il che avviene
gettando una palla di neve dentro una gran fornace, bisogna
dire che la morte non nasca dal calore, ma dal non essere del freddo,
perché il calore, per uccidere il freddo, non fa altro che scaldare.