Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 66
il senso non per informazione si fa, ma per immutazione. E s’egli
è pura potenza, come potrà spogliar l’oggetto della sua forma, né
pur della sembianza, e pigliarsela?
E qui fan rumore i Peripatetici, e dicono che ci sia il senso
agente, e fuori dell’animale alcuni, alcuni dentro, e che tal senso
le forme della materia spoglia, e alla potenza le adduce immateriali.
Ma questo si vede falso nel tatto, perché lo stesso oggetto imprime
se stesso, come questa penna scrive, e l’ago punge, e il caldo
scalda intromettendosi nel tatto. E pur nel gusto si vede che il
gustabile penetra dentro la lingua, e non ci è chi lo spogli di sua
forma, ma egli con tutta la materia s’ingerisce, e si sente. E nell’odorato
il vapore entra da sé, perché da sé esala il caldo, con la tenue
fumosità, in ogni cosa. È cosa fittizia questo senso agente,
e solo all’udito e al viso accomodare con mille assordità si potria,
perché di lungi paiono i suoni e colori sentirsi, e non di vicino, il
che fece dire ad Aristotile che il sensibile, posto sopra il senso, non
fa sensazione, ma si recerca l’oggetto, la potenza e la debita distanza.
Ma questo è bugia pure in ogni senso, benché paia, in questi
due, verità. Ma pure il suono su l’orecchio s’ode, e dentro pur più.
Ma perché questi oggetti non offendessero quando son possenti,
e di lungi s’apprendessero per ischifare o seguire il male o il
bene, fu provisto che di lungi scorgesse lo spirito in questi sensorii;
ma non senza tatto reale; il che Aristotile negli orecchi confessa,
ma niega nella vista, e dice che, essendo l’aria illuminata e attuata,
può ricevere la specie visibile e all’occhio portarla e alla potenza
ingerirla. Ma è tanto incerto questo autore, che mai non seppe
trovare chi è che porta la forma visibile, poiché al lume solo dona
l’attuar del diafano aere, né l’aria dice che la porti, non essendo
attivo di questa spogliazione dell’oggetto e vestir della potenza;
e se l’aria la portasse sin all’occhio, chi è che l’introduce dentro
tante tuniche e umori fin alla potenza? Né sa in che umore sta
la potenza.
Meglio Galeno e Platone dissero, quello spirito, e questi lume
dagli occhi uscire a pigliar il visibile. Ma l’un si refuta, perché fino
alle stelle, dove veggiamo la nostra luce, non s’estende, benché
molto lucente sia lo spirito; l’altro perché lo spirito uscito fuori
non torna più, sendo in su volatile, e massime quando ci è vento.
Dunque, solo resta vera l’opinion nostra che la luce, tinta dagli
oggetti, entra per le trasparenti membrane e muove lo spirito