Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 72
quelli, e pur sono oggetti del medesimo viso. Ben significano varie
vie e maniere di sentire, perché quel che nella parte grossa del
corpo non entra a farsi sentire, entra per la sottile, e se non per l’opaca
per la trasparente, e il medesimo pomo nel tatto grosso fa freschezza
imprimendo l’estrinseca natura fredda in sé regnante, e
nella lingua fa dolcezza imprimendo l’innato calore, e nel naso
odore, elevandosi a lui l’esalazione blandamente calda, e a l’occhio
bianchezza ch’è apparenza del caldo; talché lo stesso calore
nel tatto si chiama calore, nel gusto sapore, nell’odorato odore,
nell’occhio colore o luce, perché vivo calore è la luce, anzi è il calore
stesso in quanto è visto, cioè tocco per mezzo di lontano e trasparenza;
e che la luce sia oggetto per sé della vista e li colori per
lei, altrove mostrai contra Aristotile.
Or che lo stesso spirito senta tutti questi oggetti, ma con diversi
organi, si vede, che quando l’uomo sta attento ad ascoltar
una cosa, non vede bene quel che gli passa innanzi, e quando fiso
mira non ode chi lo chiama, e per traguardo d’astrolabio mirando
e per balestra, serra l’un occhio, perché lo spirito si unisca
tutto nell’altro. Dunque il medesimo spirito ode, vede, odora e
gusta, poiché dall’uno all’altro organo così corre; dunque non è
forma affissa all’organo, perché non si potria partire, e quando
l’uomo dorme con gli occhi aperti vederia e oderia e toccheria benissimo,
poiché tutte le forme negli organi loro rimangono, e in
tutte le passioni del riso, pianto, ira, speranza, tristezza, si vede lo
spirito or voltarsi agli occhi e farli lucidi e grandi, or dilatarsi nella
bocca, or ritornar dentro, e impicciolirsi e turbarsi e affreddarsi
l’estreme parti.
Dunque corporeo è e mobile e passibile il principio senziente,
et è uno in tutti i sensorii per continuazione, come l’aria nei canali
suonanti. Ma nell’atto di Venere, che fa perder tutti sensi, ben si
prova che il senziente spirito è uno, e corre a godere il diletto, e
gonfia il cazzo, e poi sgonfia. E certo se li sensi moltiplicar si devono,
m’ammiro che Aristotile non abbia dato il proprio senso a
Venere, perché da sé, senza sentir la ragion nuova, il cazzo si rizza,