Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 81
della pietra sa quella esser pietra, e da poco odore la notte sente
questo esser pomo e quello incenso. Anzi, non si fa senso alcuno
senza discorso, perché non s’informa il senziente, come abbiamo
provato, del sensibile, ma di poca mutanza tutto lo misura subitamente,
se bene con più sensazioni meglio s’accerta.
Vero è che molti perdono il discorso e non il senso, perché lo
Spirito senziente resta inetto a qualche sua operazione; non però
non è il medesimo. Così abbiamo detto che le fuligini entro lo spirito
volanti mentre egli discorre li guastano il discorso e lo fanno
altro pensare o vedere, e il troppo calore fa subito discorrere e antivedere
da un simile molti simili, ma subito si perde il moto per
l’esalazione, e il discorso si perde, o varia in altra apparenza. Conoscere
nel simile è discorrere e sentire per altro, e nelli animali e
in tutte cose tale modo di patire e sentire ritrovarsi sopra si è detto
e mo si mostrerà, e che il senso senziente sente se stesso sentire
come il discorso discorrente, benché Aristotile il neghi.
CAPITOLO 22
L’anima senziente pur intendere,
e da questo provarsi intelletto astratto e immortale,
uno ne’ molti, dagli argomenti contrarii de’ Peripatetici
L’intendere esser discorso del senziente spirito pur è noto, ché
non si trova nel mondo cosa universale, altro che nella prima mente.
Dunque, quando intendo l’uomo, e non Pietro e Francesco, avviene
perché ho sentito Pietro e Francesco e altri nomi simili, e
perché le particolarità loro non restano nello spirito, perché poco
lo movono singolarmente; ma la similitudine in cui convengono
assai lo move, perché in tutti la vede. Però più resta in mente l’universale
e si sente più quando i particolari sono assenti, il qual
non è altro che essi particolari per la similitudine intesi come uno;
e perché l’intendere non si fa col presente oggetto, siccome il sentire,
ma è senso di cosa assente, appare che sia diversa sostanza la
senziente dall’intendente. Ma si scuopre questo errore anco nel
senso lontano, che quando veggio Pietro lungi un miglio dico:
«quello è animale», perché si move, e l’universale sento, non il
particolare; e poi, più avvicinato, dico: «è uomo»; e poi più, dico: