Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 268
la terra et gli enti tutti, come provide Dio. Dunque non
si fanno acque l’estate ne i nostri climi vicini a i Tropici,
perché i vapori sono troppo sottili e inetti a condensarsi;
né molto l’inverno, ché per essere troppo grossi da picciolo
caldo generati non possono ascendere, onde spesso la terra
è di nebbia conspersa et sente gocciole minute et lunghe.
Ma la primavera et autunno son grossi mezzanamente
per la meza distanza del sole et facili ad unirsi: tanto
più che hanno misti seco vapori sottili caldi
che dalla terra secca et minerali ascendono, i quali, volendo
uscir fuori da i grossi, li spezzano et dallo scoppiar che
fanno nasce il tuono, et dalla luce il lampo. Imperoché
dove si chiudono, s'uniscono, s'accendono et luceno nell’uscire;
et poi le parti rimanenti et grosse più s'uniscono
per non dividersi et destruggersi, - perché tutti gli enti sentono
il proprio commodo et incommodo -, et privati ancho
del più sottile più s'indenzano, onde in pioggia ben grossa
si convertono ma non durabile, perché subito il più grosso
cade. l’inverno dura più, perché il sottile non troppo esce
per lo poco caldo vigoroso, et pian piano s'ammassa la pioggia,
et ripugnando. Et per questo si fanno i tuoni
et folgori pochi l’inverno et sottili le pioggie, ché la sottigliezza
della nube non ha caldo possente ad essalare, né
presto; ma la primavera et autunno se ne fanno assai et