Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 298
sale, il vitriolo, l’allume: il che si sperimenta nelli ingemmamenti
che si fanno nei sciloppi de i liquori del zucchero,
onde essalando la tenuità resta la consistenza come di salgema.
Può essere anchora che de i vapori gelati in poca
mistura si generassero le pietre di questa consorteria: ma
ponno essere dal freddo e dal caldo indurate. Ché se,
sciolto il liquore dal caldo, rimangono liquide et da sé non
s'indurano, bisogna dire che dal freddo indurate
furo, il quale et le parti tenui et le grosse insieme lega; et
però ritornate in liquore dal caldo le grosse, con le tenui
restituite in sé et insieme meschiate restano liquide. Ma
con questa differenza che, se ogni calore le disface, poco
freddo l’indurò, come il ghiaccio da ogni calor liquefatto
resta; ma se da vehemente uniforme e lungo sono in liquore
risolute, furono da lungo tempo et gran freddo indurate,
come il christallo dimostra, il quale da simil caldo rissoluto
non più s'unisce. Ma se poi da caldo rissolute tornano le
pietre a sodezza, bisogna dire che siano generate dal caldo
tirante a sé la tenuità che manteneva tal materia in liquore:
così nacque l’humor christallino de gli occhi, cioè di
materia non similare, et così il sale et altro ingemmamento.
Con questa differenza che, se da molto caldo liquefatti
sono facilmente et poi s'indurano da sé, la materia fu indurata
dal caldo non lungo, et ella era più eguale; ma se dal