Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 541
humori pravi. Et però nelle putride la contrattione è più spessa,
come più necessaria.
b. Diventa più la dilatatione, perché lo spirito ha scacciato
l’humore et si dilata per augumentarsi etc. La febre si può fare,
anzi sempre <si fa>, senza infiarsi prima il cuore, come pensò
Galeno, poiché lira la mestezza et il vapor dell’aria si fan solo
nelli spiriti, et le febri putride nel sangue, et spesso nelle posteme
delle anguinaglie cominciano e non nel cuore.
c. Ma non si ciba nelli principij et augumenti et stati della
febre, perché lo spirito lasciarìa di combattere per attendere
al cibbo, et non scacciarìa l’humor pravo, anzi lo nutrirìa,
et sarìa dal cibo affatigato e dal nemico insieme, et perderìa non
bastando per tutti. Pur quando la virtù è debolissima si deve cibare
in ogni tempo, et quando l’humore è infettissimo purgare
innanzi che sia cotto, massime quando ci è urgenza.
d. Platone pensò che siano quattro elementi et quattro humori
respondenti a quelli. Però dalla loro accensione quattro
febri face, et la continua dona al fuoco, la quotidiana all’aere, la
terzana all’acqua et la quartana alla terra, ben secondo
i suoi decreti. Ma non secondo il vero, poiché non si fa di bile la
continua sempre, né la quotidiana di sangue, né la terzana di
flemma, né la quartana di malinconia solo et sempre; e vi è la
quintana, sestana etc. Galeno, ciò vedendo, lasciò Platone nelle
febri et lo seguì nelli elementi scioccamente, et si sforza ridurre le
febri a quattro humori; et non può, perché il sangue non fa febre.