Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 188

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XVIII
Delli predicanti e profeti
Chiaro è che il popolo tutto, massime di tanti regni, possa più
che il suo Re con gli suoi amici e soldati in Cristianità (che in Turchia
può esser dubbio). Dunque perché il popolo non si sollevi
contra il Re per ogni disgusto che abbia, ma lo serva e obedisca, è
forza dire che lo mantenga qualche causa, e sono cause la poca
unione loro, e la viltà, e il non aver capo che prima si sollevi, a cui
donino la loro fede e speranza.
Or queste cose manifestamente nascono dalli giudiziosi sacerdoti e
predicanti, ai quali donano credito li popoli, come a quelli che promettono
beni eterni, e i temporali che il popolo perde al Re servendo
sprezzano: onde più fede acquistano. Tal che, dicendo essi che l’obedire
al Re è volontà di Dio, e il patire affanni aspetta premii da Dio,
predicando l’umiltà e altre virtù, minacciando dalla giustizia divina e
umana male agli omicidi e ladri e fornicatori e sediziosi e oziosi e
ribelli, e bene a i contrari, sempre trovano credito dalli più, onde i
pochi malvagi non trovano fede, né per conseguenza si possono unire
con li molti, nelle cui mani sta la forza, e però non ribellano per ogni
causa.
Dunque, primo instrumento d’imperioè la lingua, e il secondo
la spada, e questo si vede, per l’opposito, che dove si sollevaro alcuni
predicanti contra il Re, uniro i popoli disuniti, animaro gli avviliti,
e donaro esempio o si fecero capi, sendo i primi a sollevarsi.
Laonde hanno fatto perdere spesso il regno e la vita a principi, come
fece Macometto, sollevandosi contro Eraclio imperatore,

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