Tommaso Campanella, Politici e cortigiani, p. 161
assai i politici e Macchiavellisti, e io sono afflitto da essi perché mostro Aristotile
essere sofista e introdotto per testimonio contra suoi, non per mastro
nelle scole cristiane, come più S. Tomaso dice, e tutti li padri lo reprobano per
ignorante e maligno, et etiam S. Tomaso nell’opuscolo XX e nel IX, non che
negli altri libri, come in suo loco mostrai.
Di più, questi scolari peripatetici, se ben credessero che Aristotile erra scrivendo
contra la religione, perché il Concilio Lateranense sotto Leon X comanda
che si sciolgano da lettori i suoi argomenti fatti contra la fede, il che
molti fan burlescamente, e altri dicono: «Sic sentimus in philosophia, et sic in
theologia», come se il vero al vero potesse contrariare, quando poi son fatti
cortegiani e consiglieri de prencipi, e sentono disputare cose di stato, e che i
prencipi trascurano la conscienza per mantener lo stato in giurisdizione contra
la chiesa, essi si ricordano d’Aristotile, e par che abbia ragione, e consultano
a gusto del prencipe, prima dubitando che non ci sia providenza divina, né
immortalità d’anima, né giudizio finale, e poi affatto negando, perché non si
vedono punire da Dio per questa credenza, né sentono utilità dal prencipe.
Questo avemo provato di fresco nell’alterazione di Venezia, né voglio nominar
li consultori dell’apostasia, ed ogni giorno nel tempo delle guerre tra
Guelfi e Gibellini, Papali e Imperiali, e li libri son pieni, e quanto si beffano
della religione non solo il Butero e Bellarmino e Rescio e altri, ma il Macchiavello
per essempio di Mastrone (?) scrive che Paolo Orsino, quando fu
decapitato ingiustamente da Alessandro VI dimandasse indulgenza plenaria