Tommaso Campanella, Aforismi politici, p. 132
121. O per l’insolenza dell’esercito dopo la vittoria o doppo
la tregua, come avenne a Cartagine dopo la prima guerra
Punica sotto Amilcare; e però subito si deve l’essercito
spartire in diverse stanze: non giungere se non quando
soprastà la guerra, la cui paura li tenga uniti col duca.
122. O per defetto di danari a donar a’ soldati a tempo
della guerra, come avvenne a Massimiliano sotto Padoa, e
per questo sono fatti gli erari publichi, e se devono con
religione li più ricchi a quel tempo constringere che mettano
in commune tutti i danari et argentarie, perché così
non ponno ribellare e confermano lo stato, cosa usata da
Veneziani e Romani; e così con virtù e speranza fomentarli,
come fe’ Cesare et oggi Enrico re di Francia, e con
saccheggiare li nemici.
123. O per la lussuria dell’esercito vittorioso, che perde
la virtù, come avvenne a’ Longobardi, Goti, Unni e Francesi,
che, avendo occupato il meridiano delizioso, perdettero
la ferocia et il regno; e questo a tutti i regi Napoletani
aviene per la mollezza del paese.
Rimedio è quello di Giosuè: non spegnere in tutto li nemici,
per potere con essi essercitare la virtù de’ suoi, come
Nasica disse che Cartagine non si struggesse, acciò Roma