Tommaso Campanella, La Città del Sole, p. 27
Genovese. Il Potestà tiene sotto di sé un offiziale dell’armi,
un altro dell’artellaria, un delli cavalieri, un delli ingegneri; e
ognuno di questi ha sotto di sé molti capi mastri di quell’arte.
Ma di più ci sono gli atleti, che a tutti insegnano l’esercizio
della guerra. Questi sono attempati, prudenti capitani, che
esercitano li gioveni di dodici anni in suso all’arme; benché
prima nella lotta e correre e tirar pietre erano avvezzi da mastri
inferiori. Or questi l’insegnano a ferire, a guadagnar l’inimico
con arte, a giocar di spada, di lancia, a saettare, a
cavalcare, a sequire, a fuggire, a star nell’ordine militare. E le
donne pure imparano queste arti sotto maestre e mastri loro,
per quando fusse bisogno aiutar gli uomini nelle guerre vicine
alla città; e, se venisse assalto, difendono le mura. Onde
ben sanno sparar l’archibugio, far balle, gittar pietre, andar
incontro. E si sforzano tôr da loro ogni timore, e hanno gran
pene quei che mostran codardia. Non temono la morte, perché
tutti credono l’immortalità dell’anima, e che, morendo,
s’accompagnano con li spiriti buoni o rei, secondo li meriti.
Benché essi siano stati Bragmani pittagorici, non credono
trasmigrazione d’anima, se non per qualche giudizio di Dio.
Né s’astengono di ferir il nimico ribello della ragione, che non
merita esser uomo.
Fanno la mostra ogni dui mesi, e ogni giorno ci è l’esercizio
dell’arme, o in campagna, cavalcando, o dentro, e una