Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 114

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legge, sapendosi che per fidarsi in Dio Giacob
innanzi la legge fu giustificato come suo padre,
e Esaù per essere miscredente fu reprobato anche
innanzi la legge, perchè alla grazia divina non
consentiva, nè l’apprendeva. Però dice l’Apostolo
che della vocazione divina, non dalle opere, che
ancora non avevano fatte, fu detto che il maggiore
servirà il minore, cioè che l’elezione di Dio
fatta nel ceppo d’Abramo obediente a tal vocazione
e elezione procede dalla benignità divina
e dalla sua grazia accettata però da noi e ben
usata come Abramo credente usò, ma non dall’opere
legali che poi Iddio agl’Isrealiti comandò,
perchè la legge fu data a tempo, quanto alle cerimonie
sino alla venuta di Cristo quando la fidanza
della promessa fu adempita. Quei dunque
Israeliti che all’evangelio perfidiano si dicono
rami recisi dal ceppo d’Abramo, e quei Gentili
che il ricevono rami d’olmo selvaggio insertati
nell’olmo domestico, dice l’Apostolo. Talchè l’Apostolo
disputa contro gli increduli e perfidianti
alla grazia ch’è a tutti comune e contra i serventi
alla lettera della legge che a’ particolari fu
data, perchè Popolo di Dio sono i serventi alla
grazia datali, quali furono i buoni Israeliti imitatori
di Abramo, e popolo del diavolo sono gli
abusanti della propria libertà, e favori divini,
quai furono quei d’Esaù tralignanti d’Abramo,
da cui traevano origine carnale non men che
gl’Israeliti. Adunque disputa San Paolo: Non consiste
la fede di Abramo nel linguaggio carnale,
ma nello spirituale, cioè in quelli che Abramo
imitano, secondo il qual modo i Romani e tutte
le genti possono essere del seme d’Abramo. Notate
ancora che disputava l’Apostolo conto quei
che nella legge si gloriavano fintamente e nelle
promesse di Dio fatte a loro, e perciò disprezzavano
i Gentili, dicendo nella Corte di Roma dove
questi Giudei a’ [quali] scrive San Paolo, dimoravano
che essi Gentili a loro comparare non si

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