Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 135

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una crudeltà, che non s’imputi il male che noi
facciamo, e quanto è dentro nell’anima di buono
l’ammorzano e fanno una idolatria fuori di ostinata
parzialità.

Ger. Ohimè, che impietà inaudita! come si può
ne’ stati vivere, dove queste opinioni si spcacciano?

Giac. Dimostrai già che tra loro non ci è segno
dipendente alla religione e che questa non può
mantenerlo, ma direttamente lo strugge e per certificare
quivi voi lo vedete che sono certi settarii
in quei paesi che da Lutero e Calvino presero
questi principii, cioè che Dio così opra il male a
noi, come il bene, e che non abbiam libertà, onde
conchiusero che chi conosce il peccato per peccato
fa male, perchè Dio oprando in noi, se dici male
non è peccato sendo da Dio, e Giuda credendosi
peccare, peccò senza perdono, e Pietro quando
conobbe il suo peccato non esser peccato fu perdonato,
e questa razza di genti elette libertine
non può avere repubblica nel regno, tenendo questa
opinione e governandosi nella politica con la
religione come necessaria.

Ger. S’io fussi luterano o calvinista, del che
Dio mi scampi, come dell’inferno, subito diventerei
libertino, se la ragion di stato non mi retraesse;
chè mi pare questa setta, benchè sceleratissima,
più della Luterana discreta, perchè dice
più tosto che il peccato non vi sia, che imputarlo
a Dio.

Giul. Ma Calvino non li vuol riconoscere per
figli acciò non si conosca quale egli sia padre.

Giac. Credete dunque che se la repubblica o
dominio di queste sette si governasse secondo i
loro principii, non potrebbono durare. Certo, argomento
che quando i popoli si levaranno da gli
occhi quel velo che i falsi ministri loro appongono,
mancheranno i loro principali: sa tali opinioni
fossero in Italia, dove gli uomini sono meno
gonfi, ci sarebbono tanti scompigli che non si manterebbe
città, nè dominio.

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