Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 141
te faccia, fa ad altri.” Or se l’Evangelio per la sola
credenza la salute ci promettesse, non ci
comanderebbe
queste cose abreviandoci la legge, nè c’insegnerebbe
imitar Cristo, se non possiamo; ma
fora una
dispensa d’operare ogni misfatto. San
Paolo anco mostrando che la legge evangelica
detta di grazia comandante
l’opere dice: “Apparve
la grazia di Dio Salvator nostro a tutti gli uomini
insegnandoci che regnando l’empietà e
secolari
desiderii, viviamo in questo secolo aspettando
la speme e evendo del grande Iddio e Salvatore
nostro
Gesù Cristo, il quale ha dato se
stesso per riscattarci dall’iniquità e renderci accetti
a Dio e farci seguaci
delle buone opere.
Come potrà l’Apostolo con migliori e più chiare
parole mostrarci che la legge della grazia
insegna
delle buone opere, più che la legge scritta?
che con questa nunqua non potiamo accertarci
della
speranza in Cristo conceputa dalla salute,
senza operare, dice San Pietro; la quale abbiamo
adesso come una poliza
di cambio nell’Evangelo,
la quale poliza se non crediamo con li fatti ancora
restiamo inabili di ricevere quel che
ci promette,
e Dio non resta obbligato a farcela valere
come ha promesso per benignità e obligo non per
meriti
nostri come c’impongono i luetrani, che
diciamo già che ogni promessa è obbligo, tanto
più quanto il permittente è
buono e verdadiero,
e Iddio è tale in somma. Ma Lutero quel che
San Paolo dice contra l’abuso della legge che
faceano i farisei nelle cerimonie e opere di fuori,
e cupidigie finite, lo attribuisce all’essenza della
legge come che l’amare Dio e il prossimo, e tutti
i dieci precetti non fusse necessario alla salute
che
l’evangelica, permette di più la legge che si
chiama eterna in tutta la scrittura, dunque a noi
è per l’occasione
derogata; si vidde poi la dolcezza
dell’Evangelio esser anche nella legge, dicente
David ch’era più dolce del
miele, eterna,
santa, immaculata. Di più teste si chiama la legge