Tommaso Campanella, Dialogo contro Luterani, p. 147

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d’un affetto sì intieramente che altro volere dissolvere
ci è tolto; col Petrarca innamorato dir possovi
“mille piaceri non vagliano un tormento;” così,
in Dio infiammar ci potiamo, se cominciamo con
quella grazia che prima ci muove perchè Egli più
ci largirà, sendo oggetto benignissimo. “Vedi,” dice
San Paolo a Tim. “che non disprezzi la grazia ch’è
in te.” Ci scusiamo che non ci dà grazia quando
dalla perversa consigliera ch’è la concupiscenza,
dice San Giacomo, ridurre ci lasciamo e i consigli
divini i nostri parlamenti, come dice David, per
naturali e gratuiti doni trascuriamo, come colui,
come dice il medesimo, per non bene operare,
saper non volle, non volendo di questa razza intendere
che dell’operare interno della conscienza
che ha Dio si deve dedicare l’operare politico, e
chi ha questo ha ancora quello. Cicerone anco fu
Gentile politico, conobbe che mettendo la necessità
provida di Dio, alla lettera ci si togli il libero
arbitrio non solo nella conscienza, ma nella politica.
Però più tosto si risolve a negar la providenza
a lui ignota che negare la libertà che gli
era notata al vivere civile. L’incoata giustizia di
Dio in noi non è se non in pochissimi, secondo
Calvino, dunque a … leggi si deve proporre, i
quali sendo ignoti, non potranno formarsi Ripubblica,
e se si conoscessero, ciascuno farebbe il peggio,
perchè con tutto ciò sta sicuro d’esser salvo.

Ger. Non dite più di questa materia, perchè son
sicurissimo della loro furbaria per la quale mantenere
ogni sottigliezza pedagogica trovarebbono,
chè dal primo parlare me ne accorsi quando dicestivo
che Lutero si mise a predicare contro il
suo pontefice.

Giul. Lutero una volta che andò in collera disse
“Nè con Dio si comincia nè con Dio si finirà
questa faccenda”. Ogni gran passione ha forza di
fare dire il vero, perchè toglie con la sua veemenza
gli altri pensieri minuti della furberia.

Ger. Anco Calvino, dicono esser morto d’infermità

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