Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 189
come prima sostanza immobile. La quale però non entra
nella compositione delle cose sostenendo, ma essistendo
con esse, et sotto di esse, perché le cose rare di vacuo et di
pieno non si compongono, se pure con loro vacuo ci fusse.
Tanto gode il luogo di sottostare a gli enti, che non vuol
mai esser vuoto affatto; però sempre tira a sé il manco
resistente, come il raro a lui più simile, perché vacuo egli
non resti: benché alle volte, se non per natura, per violenza
vacuo rimanga, come nelle scissure di nuvole,
ne i vasi pieni di fumo poi congelato et stretto in minor
luogo, nelli mantici atturati doppo spremuta l’aria et a
forza elevati, et nelli schizzatori nell’estremo impegolati,
da i quali sia ratto con forza l’intromesso steccho bambagiato,
che doppo solo da sé ritorna a riempire il vacuo,
esperienze veggiamo. Né solo il luogo ha dispiacere di
restar vacante, ma l’istessi corpi locati, perché, godendo
uno del contatto dell’altro da una commune materia et
senso contenuti, abborriscono il vacuo che li divide: et
però l’acque dentro la clessidra contenute, dove aria non
entri, sendo atturato il pertugio sovrano, non calano a
basso, se non hanno maggior gravezza come il
miele, et spesso in alto vanno in brevissimo per empire
il vacuo, come manifesta l’arte delli spiritali.