Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 204

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[DISCORSO OTTAVO]
Del sole.
Diede però al quarto pianeta luce et calore copiosissimo,
che combattesse et vincesse l’avversario: il qual sforzo
d'unimento le caldezze volevano farlo più vicino a terra,
ma non potero per la resistenza. Et pure dov'è vincirebbe.
Ma perché nel principio, quando in giro cominciò con gli
altri pianeti a moversi, non d'un sol moto, ch'è dall’orto
all’occaso, ma da settentrione all’orto <si moveva>,
sino al punto d'onde gli bisognò voltar dall’orto al settentrione,
declinando per non donar tempo al freddo di struggere
quel ch'egli haveva disposto a farsi cielo, et non mai
cingendo la terra per una via, ma contendendo per tutte
le vie d'assaltarla, gli avviene che per nessuna la può
incendere, ma pian piano trasmutare, et far queste cose
mezzane che pietre acque piante et animali s'appellano.
Né adesso né mai il sole li pianeti et la terra et quanto
c'è nella statua potranno mutar via, corso, qualità et
essere, finché ogni cosa sarà stata fatta ogni cosa, et finirà
il tutto per il bene dal primo Senno inteso.

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