Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 273
l’acqua smorza il fuoco non per attione nemica, perché lo
convertirebbe in acqua, ma per suffocatione con la sua copia
in parte viscosa, chiudendo i meati de i legni ardenti
d'onde esce la fiamma ch'è la parte sottile et fumosa, sì
che non può più essalare e 'l fuoco muore. Quel che patisce
dal vino e dall’acqua salsa e dall’olio anchora copiosamente
in lui gittato, si vede. Però molti fuochi di
bitume et di pece fatti e d'altre materie non porose né
disuguali ardono dentro l’acque, et incendio grande d'essi
nutrirsi <si vede>, come i fuochi d'Etna et di Vulcano.
Non ci è cosa appresso noi nella cui compositione entri
il freddo; ma nascendo tutte di terra scaldata e trasmutata,
sempre calde sono se pria in terra pura, la quale non veggiamo,
ritornano. Il freddo mantiene la terra e disgrada
il caldo, non compone, ché due contrarij né robusti né languidi
non si ponno conciliare a far un terzo, ché ciò sarebbe
uno scordarsi della natura propria che lor diede il
Senno primo. La cicuta e l’oppio non per troppo freddo
fanno dormire et avelenano, ma per troppo viscosi vapori,
che chiudono i meati della testa e del cuore et fan sonno
essendo vinti, et vincendo suffocano et fan morire. Ché
se così fusse, il caldo vino non farebbe sonno né
la fredda neve restarebbe d'ammazzar più che la cicuta.