Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 321
come l’ulive, aranci, cipressi, scini, castagni, perché il calor
estivo bastò solo a mover la virtù et l’humor loro a far il
frutto et a nutrirlo, ma non maturarlo: sopra vegnendo poi
l’inverno, s'unisce il calor del frutto e dell’arbore copioso
per lo freddo circonstante, et così vien cotto et maturato
il frutto, chi più chi manco presto, perché gli
aranci et limoni sino al primo caldo di primavera non
maturano bene per la copia della lor materia densa et agra.
Finito il seme dal calor natio et estivo, vegnendo gran
caldo, secca quell’humore che per il piedicino del frutto
si lambiccava in nutrimento delle piante deboli, et così
quello cade in terra, come le frondi anchora, et coperto
dalle pioggie et movimenti d'essa terra et dalle frondi si
sta unito tutto l’inverno il suo caldo et s'avvigora benissimo,
perché le nevi et ghiacci fanno internar bene alla
semenza il calor natio et radicar poi meglio - se non sono
troppo freddi che l’uccidano, come in Germania et
Moscovia, dove per questo si semina il mese d'aprile et
raccogliono con noi, perché la lunghezza de giorni loro
contrapesa alla lunghezza della nostra stagione. D'onde,
venendo la primavera, svegliato dall’avvicinato sole, il calor
natio del seme esce fuori e tira seco la parte viscosa in cui