Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 371

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[DISCORSO NONO]
Del gusto.
Conoscendo esso spirito, che nell’estreme parti del suo
instrumento toccate, per essere elle sode, non può patire
se non dalle cose robuste; né egli di quelle sole si serve;
anzi molte cose non paiono tali quali sono, perché l’acqua
e '1 vino sono caldi dal calor natio, et al tatto paiono freddi
per il freddo esterno che in loro siede et occupa il natio
caldo: si fece un adito insino alla lingua, dove non solo
sente lo spirito la natura esterna e possente della cosa
che ha da magnare o trattare, ma l’interne sue facoltà
anchora, delle quali essa è composta nascendo. Et questo
fa per mezzo del sapore, il quale è il caldo scemo
nelle cose innestato insieme con la sua mole, diffuso ad
agere non solo (come fa quel del fuoco possente): con la
quale entrando nella concavità della spongiosa lingua trasmuta
non solo il caldo dello spirito, come suol fare il
caldo possente, ma la dispositione, cioè la sottigliezza sua.
Perloché egli sente se può essere buono il cibbo dentro
al ventre messo a convertirsi nella sua natura e sostanza:
perché non solo il caldo de i cibi et poti, ma la sua mole

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