Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 411

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secche che le molli: onde più le corde di filato rame fatte
che quelle di budelli fan suono, perché il secco non cede
con alcuna sua parte all’aria, ma il molle cede. Si move
l’aria in sfera, come l’acqua quando dentro a un vaso se
li butta una gocciola. E dalle cose concave si riflette et
ritorna la voce, perché li circoli dell’aria tornano a dietro,
come quelli dell’acqua al labro della conca arrivati tornano
al centro del moto fatto dalla cadente gocciola.
Così fa l’ecco, ribattuta l’aria dalle valli e dalle fabriche
cave, nelle quali urta e torna; ma non torna dalle piane,
perché si effonde ne i lati, non a dietro, onde viene spenta.
Conosce lo spirito se la voce venga da lontano o da vicino
non dalla grandezza o piccolezza del suono, perché le
voci più grandi ponno essere più vicine et più lontane, ma
dalla moltitudine. Imperoché quando viene da lontano la
voce move molt'aria, percioché move quella ch'è vicina a
lei, et l’altra l’altra, fin a quella ch'è contigua all’orecchia:
percioché essendo prevenuta l’orecchia da molta quantità
d'aria - perché prima sente il moto della contigua,
et poi dell’altra, et poi di quella che ha toccato il
mobile sonante -, fa stima ch'egli sia lontano. Et innanti

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