Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 498

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il bene non venga in man d'altrui et lo perda l’amante, et è
argomento o del suo minor valore o della insufficienza dell’oggetto
o della instabilità appiacente a varij amanti et
impotente per tutti. Però l’amor di Dio - sufficientissimo,
non particolare oggetto - è senza dolore di gelosia. Dunque
il dolore è un altro fonte di passione, et egli è sentimento del
mal presente al dolente congiunto. Et l’odio da lui pende,
il quale è fuga et aborrimento del male assente, perché il
suo oggetto è il brutto, segnale del male, come il bello del
bene. Ma quando ci soprastà il male positivo, questo
dolore si dice paura, perché il timore è dolore
della mancanza del bene. E nella paura lo spirito fugge
dentro, e gli occhi restano piccioli et scuri, et i nervi tremanti,
perché lo spirito poco in loro rimasto non può ben
moverli; et la faccia pallida et li capelli erti, perché si
stringe la cutenna et i suoi pori per la fuga del caldo in
dentro; et però li peli si rizzano, come ogni stecco stretto
nel suo principio, et si fa senso di freddo mancando il
caldo. Lì donde fugge non può ire freddo nativo. Et
se lo spirito si accinge contra il male per non cederli, ma
scacciarlo, si dice ira, che si fa uscendosi lo spirito verso il

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