Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 510

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Pur essi con alzar et abbassar le voci come noi favellano,
ma non gl’intendiamo, come neanche i Tedeschi per la
diversità del batter l’aria con diversi instromenti vocali.
Di tutte le scienze la sapienza è madre, et è il medesimo
con la prudenza; et Dio la chiamò virtù.Conciosiaché
si trovino nel compimento d'ogni essere la possanza la
sapienza e l’amore, et ogn'una di queste virtù dir si possa,
ma la possanza ne ha prima questo nome: non però senza
l’altre due, perché tutte insieme conservano l’essere, che è
il più gran bene de gli enti. Nondimeno la possanza di resistere
alle cose contrarie è virtù alle bestie: ma ne
gli huomini è più la sapienza che guida anchor la forza et
l’amore, per esser l’huomo più obligato al senno che al
potere et all’amore.Virtùè quel decreto dell’anima,
che giudica doversi sapere et imparare quanto si può per
conservatione dell’essere presente et futuro: et ecco
che lo spirito, spinto da quei sproni che fanno la gioia et
il dolore, errando circa l’acquisto dell’essere corporale,
mentre che più et meno si duole, gode, ama, odia che non
deve, opera secondo tali effetti più et meno che deve per
suo bene.Disse Dio che sarà virtù quella misura
dello spirito che inducerà tanti e tali effetti, et oprarà
tante e tali operationi, quante et quali bastano
alla conservatione, et non più né meno. Perciò ella consiste
nella mediocrità, di cui il più et manco chiamo vitij.

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