Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 520

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[DISCORSO DECIMOQUINTO]
Della liberalità et suoi contrarij.
Per la medesima conservatione di noi in noi segue
un'altra virtù, detta liberalità, perché è segnale di spirito
puro et libero d'ogni humore infettante, habitatore di larghe
stanze. Questa maneggia i beni che la solertia
acquista, et a divitia li spende ad utile del proprio composto
e de gli amici con i quali vive per conservarsi. Non vale
solo il sapere acquistare, ma bisogna sapersi servire dell’acquistato.
Hor questa parte di sapienza (già che ogni
virtù è esso sapere) sa ben usare i beni humani esterni.
Quando poi l’huomo solo ad acquistar intende, e teme
d'usare tutti beni a suo pro', sollecito che non gli manchino,
et si consuma la mente et il corpo da ogni cosa honesta e
dishonesta cavando robba, la quale né a sé né a gli amici
giova, et sempre la conserva, ma non conserva sé, costui
haverà un vitio detto avaritia, segnale di spirito vile,
sconfidente, piccolo, fuliginoso, consapevole della
propria dapocaggine, come appare ne i vecchi per la debolezza
sconfidenti et avari. Chi poi quanto acquistano

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