Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 563

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lo mangiasse, bisognerìa darci del nostro, però fu data una
virtù che gode del bene d'altri, quantunque non ne speri
da loro, se però conosce quel non usarsi in male d'alcuni
altri conviventi. Questa si dice benignità. Et quando si
duole dei mali de gli altri con animo di soccorrerli, s'appella
misericordia; et quando si duole de i beni di scelerati che
l’usano in mal del prossimo, è disdegno. La malignità
è opposta, et duolsi del bene d'altri come testimonio
del suo poco essere, non s'attrista de mali del prossimo,
e <del ben> de cattivi gode. Ma chi troppo si travaglia
d'altrui miserie, et d'ogni bene di quelli ne fa festa grandissima
facendo allegrezze con loro, è vitioso, et la sua
malitia è mollezza di spirito delicato molle et flessibile,
timido et volentieri meschino, il qual perde il consiglio per
tali passioni ingombrato.
[DISCORSO TRENTESIMOSECONDO]
Dell’emulatione et suoi contrarij.
Perché tutti ci forzassemo a diventar facoltosi,
come sono molti, fu seminata nello spirito una virtù
che si dice emulatione, la quale, veggendo l’altrui ricchezze
et virtudi, considera che quelle appartengono a sé pure,

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