Tommaso Campanella, Monarchia del Messia, p. 53
perdono, perché non hanno virtù di dar legge e bon governo alli
vinti, come fu Tamerlano, e Pirro, e Carlo quinto. Li primi perdono
la vita propria per lo più, ma in successo di tempo così morti come
sono commandano alli vivi, come hoggi in Roma Pietro e Paolo
uccisi, e per tutto il mondo li profeti, et loro seguaci.Quelli che
usano l’armi e la sapienza, vincono presto, et lunga signoria fondano,
come Mosè et Macone astuto, et Romolo. Ma chi con sola
virtù si guida, et con solo amore, avanza tutti e boni e tristi.
Anzi la morte è un siggillo di vera signoria, perché li prencipi
spurij, et di fortuna, cercano sempre di estinguere li prencipi veraci,
come Iugurta faceva, et insegna di fare l’empio Macchiavello. Però
sendo li sapienti signori per natura, sono perseguitati dalli principi
della fortuna, caluniati, et morti, et doppo morte imperano a loro
dispetto, ma più quelli, che furo sapienti, et amanti del publico, perché
si cognosce la patente lor di regnare più illustremente in questi
fondamenti titolata.
Più naturale agli huomeni è essere governati da uno, che da
molti, perché sono più uniti, e più presto si trova un bono, che
molti, e più facilmente delibera, et occorre alli bisogni. Però le
Repubbliche fanno il dittatore, et il duce. Per diffetto d’un bono si
trovò la Republica di molti, per diffetto di molti, quella di tutti, e
per più facilità la mista di due o tre tali maniere.
Più naturale è un prencipe per elettione, che per successione, perché
si possa scegliere il migliore, più antico, e savio, e non figliolo,
che ha bisogno di guida. Ma per usurpatione de’tiranniè introdotta
la successione in alcune nationi; in altre per rimedio dell’inconvenienti,
che avvengono nell’interregno, e per non accordarsi subbito a
sceglier il megliore.
Meglio è eleggere doppo morte il prencipe, che vivendo, perché
non faccia eleggere un de’ suoi con sua authorità.
Meglio è che si pigli prencipe dovunque si trova ottimo, che della
propria natione solo quando non l’ha.
Meglio è, che s’elegga attempato, scelto dal numero de senatori