Tommaso Campanella, Poetica, p. 388

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venendo insieme a battaglia, stessero a narrare le loro
genealogie, come ancora fu Glauco con Diomede, mettendosi
a dire de’ loro antichi senza proposito. Meglio
era che queste narrazioni avesse fatto il poeta di loro
parlando, che quei cavalieri, che stavano accesi a combattere
e che dall’ira, dalla pazzia, e dalli soldati che avevano
a canto, e da’ richiami de’ capitani, e dal mescuglio
e concorso di genti armate erano disturbati da questi
ragionamenti fanciulleschi, ché né verisimile è per il
tempo e per il luogo e per le persone, che ciò avessero
fatto.

Le descrizioni poi de’ paesi e de’ primi abitatori possono
esser favolose, quando s’ignora la verità o manca
la nobiltà. Gli altri ornamenti poi nascono dalle parole,
delle quali diremo appresso, e dai colori rettorici e figure
a tempo interposte, delle quali si dirà quanto si ricerca
al presente ragionamento.


[XX. Le tre parti del poema].

Or, divisa l’istoria nel principio, mezzo e fine, parti
principali e disgressioni favolose, resta da notare le parti
del poema che tiene esso poeta. Diciamo che i personaggi
non devono esser sciolti, ma tutti da esso poeta
narratore introdotti a modo dell’istorico, sendo fondato
questo poema sull’istoria, perché ancora ne’ tempi antichi
era solito il poeta recitare in teatro con la sola persona
sua tutto il poema, come fa Virgilio in presenza
d’Augusto, e Omero cantava per le piazze e per le sale
de’ signori della Grecia. Fa dunque tre parti il poeta:
l’invocazione, la proposizione e la narrazione, alle quali
li nostri poeti hanno aggionto il commiato. Tutti gli
antichi Greci e Latini cominciôrno dall’invocazione;
l’Iliade:

Iram cane, Dea…,

l’Odissea:

Dic mihi, Musa, virum…,

Museo:

Dic, Dea, occultorum testem…,

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