Tommaso Campanella, Poetica, p. 391

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alle gravi Euterpe e Calliope, intesa da Virgilio accortamente
per intelligenza così:

Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,
quidve dolens…
ecc.,

e nella Georgica invoca Pale, dea dell’agricoltura. Però
a noi, in luogo delle Muse, rispondono le grazie divine;
in luogo degli dèi gentili, gli angeli e i santi intercessori;
in luogo di Pallade, la beata Vergine, in diverse maniere
dipinta secondo le diverse azioni sue; così, immediatamente
invocando Dio, nelle cose antiche e possenti è
atto l’invocare il Padre, nelle cose distinte e di sapere e
di senno, il Figlio, nelle cose d’amor santo e casto, lo
Spirito Santo, disegnandoli con quelli epiteti proprii o
proporzionati, che i teologi sagri loro accoppiano, i quali
hanno l’arte architettonica di questa materia.

E se questi poeti cristiani, come anco – per esser assioma
generale – i Turchi, le genti e altri, devono ciascuno
invocare e chiamare li loro iddii, da loro tenuti
per veri, non devono poi burlarli, offenderli e avvilirli
col raccontare menzogne, quali che quelli, che tengono
loro veri iddii, con il chiamarli a favorire finzioni e
bugie, e da loro siano tenuti e finti e bugiardi. Però
doveria l’eroico poeta raccontare le cose vere e non finte,
e in testimonio di quelle invocare li primi dèi della
sua setta; e quando poi si vuol raccontare favole – ché
allora sarà o romanziere, o non eroico poeta – li sarà
conceduto l’invocare dèi favolosi e non veri – non da
quella setta tenuti veri – a dir bugie, di che, come d’errore
da frusta, vergognavasi e volevasi scusare il Tasso,
quando invocò Maria a proteggere le menzogne, che
infrascava col vero, che l’uno poi dall’altro non si riconosce;
e diceva così:

Sai che là corre il mondo ove più versi
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso
e che ’l vero condito in molli versi… ecc.

Sia adunque proibito a’ poeti cristiani invocar altro
che lo Spirito Santo, la beata Vergine e simili, perché,

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