Tommaso Campanella, Poetica, p. 403

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disprezzare le grandezze che il volgo ammira, sendo elle
sottoposte ancora e forse più a’ colpi di fortuna.

Di più non deve essere meritevole della morte colui
che ha da fare il fine tragico, perché non moverebbe
compassione la tragedia: dunque [quella] del signor
Sperone, che narra la morte di Canace e Macareo, non
è buona appresso nessuna nazione, che viva sotto leggi
che proibiscono il congiungimento carnale tra fratello e
sorella, e molto meno appresso i Cristiani. Però Dante,
narrando il fine tragico del conte Ugolino, l’esagera e
muove a compassione della morte de’ figliuoli e del
modo insieme che col padre morîro, non del padre solo,
che forse l’aveva potuto meritare; al medesimo s’accosta
lo Sperone.

Di più, essendo fatta la tragedia per rappresentarsi
in pubblico, non si deve introdur persona, che già molti
anni incorse nelle miserie che sono per rappresentarsi, e
tanto meno, quando è di diversa religione a quella del
poeta e de’ spettatori, imperoché la compassione è un
travaglio d’animo nascente in noi dal sentire le nostre
miserie ne’ nostri simili, perché, quando le proviamo in
noi, si dice passione, in altri, compassione. Queste dunque
miserie più muovono, quanto più sono presenti;
tanto più presenti sono, quanto i pazienti sono a noi
più vicini di luogo e tempo e di professione e credenza,
perché non abbiamo compassione di quelle miserie degli
animali; e poi le guerre de’ Turchi manco ci muovono,
che quelle di Francia, e manco quelle di Francia,
che le nostre d’Italia, e più ci punge la guerra di ieri e
l’altro ieri, che quella degli anni passati, e più la morte
d’un uomo buono, che d’uno uomo scelerato.

Dunque è bene lasciare addietro gli Ercoli, gli Agamennoni,
gli Edipi, le Sofonisbe, e trattare i soggetti
de’ nostri tempi, come fece colui che compose la tragedia
del Bragadino, duca di Cipro, per il senato veneziano,
e un altro la bella Regina di Scozia, ché questi altri,
che di Canace e di Sofonisba hanno scritto, e per lo
soggetto e nel trattarlo e nel parlar raro non così si avanzano.

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