Tommaso Campanella, Poetica, p. 423

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divisa, quella che si usa scema, quasi composta di «c»
e di «e», così «ε»; «o» grande sarà chiusa per tutto
in questa forma: «o»; e, piccola, sarà aperta in questa
maniera «υ», conforme all’uso, per non deviar troppo
gl’ingegni in queste minutezze. «G» grande fia l’ordinaria,
picciola in numero «g» della nostra lingua, derivata
pure dal «G», in questo modo: «g», o in questo:
«gh». In luogo di quella lettera simile a «c» si formarà
questa figura: «ζ», che partecipa del «c» e «h»; aggiongasi,
per distinguere le pronunzie della «c», un’altra
simile a lei, che sarà la «k», lettera greca ricevuta
da’ Latini nelle cose greche e a noi necessaria, e diremo
«okki» e «tokki», e senza la «h» si può fare, sendo
questa «k» appresso i Greci «c» e «h» insieme.

Tutte queste lettere nove si possono ricevere, tanto
per la necessità, quanto per la vaghezza, essendo elle
formate con buona prospettiva e non molto lontano dall’uso,
che dona grazia alle cose: però intendo nella nostra
lingua solamente, perché nella latina non sappiamo
come si faccia la pronunziazione puntualmente. Né dobbiamo
noi esser di manco industria che i Greci, i quali
doppiarono le figure, facendo sette vocali e le consonanti
ancora, portate da’ Fenici e da Cadmo, e da Palamede
racconciate al tempo d’Omero, come scrive Archiloco
e Plinio. Questo sia detto delle nostre, ché li
Egizi e i Chinesi avevano le lettere che significavano
come dizioni e orazioni ancora.

La sillaba è una congionzione di consonanti e vocali
proferita in un fiato, senza distanza, e però alle volte una
sola vocale fa sillaba. Aristotile fa differenza tra sillaba
e congionzione, perché vuole la sillaba sia unione di
consonanti solamente, come nella precedente dizione,
ma è chiaro che sillaba non si faccia senza vocale, poiché
in quella s’attacca la consonante ove bisogna; la dizione
è una voce compita, atta a significare da sé [o]
con altre nel parlamento, la quale si distingue in nomi e
in verbi, proposizioni e avverbi, interiezioni e congionzioni,
delle quali favellare è offizio di grammatico: vedete
Quintiliano e il Bembo nelle Prose. Gli articoli,

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