Tommaso Campanella, Poetica, p. 429
traslati lontani e contrarii, quando dice «colma d’oblio»,
perché oblio
non empie, ma rivòta, e quando dice:
bagna e rallenta le già stanche sarte,
percioché non è vero che le sarte bagnate si rallentino,
ma più
s’indurano. Convenne però all’Ariosto, per colorare
il concubito di Ricciardetto e
Fiordispina, far
quella ottava, mezza metaforica ne’ primi quattro versi
e tutta
negli ultimi: per ischivar un male, che è la poca
riverenza del poema eroico e della
musa grave, fare
quasi un minor male, che pur non è male, sendo inteso
da quelli
primi versi:
Un rumor di tamburi e suon di trombe...
e quello cheè detto in quelli altri:
usamm’ altr’armi, che saette e frombe...
insino al fine.
È lecito e bene a tutti i personaggi dare epiteti dalli
principali
segni loro, come Omero dice sempre «flavus
Menelaus», «Mercurius Argicida», Virgilio «pius Aeneas»,
«fidus Achates»; così ancora Omero dice sempre
«humidum oleum», «nigrum vinum», «curva navis», ecc.
Si mutano però a tempo, quando il presente atto
lo richiede:
però, se un facesse atto di fortezza o di codardia,
si potrebbe ben
dire «il forte» o «il codardo» in questo
atto, benché altro epiteto avesse sortito
avanti. Gli epiteti
eterni siano solamente proprii, come «il veloce
Achille»,
«l’astuto Ulisse»; li temporanei, traslati e proprii,
secondo il bisogno di questa
impresa; è sconcio
dire con epiteti, come il «bianco latte», in eccesso e ornamento:
però ben dice Orazio in una satira, che il
poema debba esser tale che, mettendolo
in prosa, divenisse
diverso, sì che appena si potesse leggere come
prosa: e questo
avviene agl’importuni epiteti traslati
e coloriti di favellar poetico.
Le repetizioni
si dicono per più movere: così anco l’iperbole
per dare fede: altresì le comparazioni
nelle cose
meno intese e dove è bisogno mettere avanti agli occhi