Tommaso Campanella, Politici e cortigiani, p. 145

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ma pensa starsi in tutte le gioie dell’universo suo vile, che altro non intende;
e peggio è chi ci crede a tanta promessa e la trascura, e prepone questa
caduca e imprestata vita da gli alimenti mondani per gusti tanto falsi, e di
penitenza e di pentimento ripieni.
Di quante maniere di cause è intessuto l’ordine fatale dell’università
mondiale e dell’umana, come questa non è nel suo fine e verità,
ma nel viaggio e in comedia, nessuno è quel che
rapresenta, e perché
Cap. II
Primo. L’università de gl’enti, che in ogni momento produce innumerabili
azioni e operazioni e operati effetti, e altri ne trasmuta e corrompe e genera,
onde di morti e vite perpetuamente succedenti si continua, vien intessuta di
primalità, principii e cause e concause necessarie e contingenti, spontanee e
sforzate, libere e servili, bone e male, fisiche e matematiche e mentali, finali e
perfezionali, ideali e formali, efficienti e materiali, pazienti e non pazienti,
agenti e coagenti in virtù della prima agente causa e ordinante il tutto al suo
gran fine, parte cognito e più che parte incognito all’umano intelletto. È meraviglia,
poi, che né li discepoli sanno l’arteficio del mastro, né l’infermo del
medico, né li servi del prencipe, né li figli del padre, quando li mette a scola, e
si lamentano ingiustamente del suo utile, proprio a finché acquistino l’intelligenza
del negozio.
2. Però rispetto alla prima ogni successo è infallibile e necessario, e per sé è
buono per qualche fine ordinato al gran fine, e rispetto alle seconde è più e
men per accidente, e più e men contingente e malo, quanto più e men si
allontanano dalla prima. Finché si evacuano le scene della comedia universale
e si depongono le maschere d’essa, in cui han parte cielo e terra, elementi
ed elementati, e l’anime umane de corpi ammascherate, ogni uno a far il suo
detto e atto, benché non sia quello stesso che rappresenta, poiché molti rappresentano
e fanno officio di re, che nel dentro è servo d’ogni vizio e degno
d’esser comandato da chi egli governa e comanda, e molti fanno officio di
schiavo e carcerato, che son più liberi che li propri carceranti e cattivanti, e
molti fanno officio di sacerdote e religioso di questa commedia, che poi, spogliatosi,
vedrà essere un forfante: però non s’ammiri Dante poeta, che l’uomo
non fa l’officio suo fondamentale, a cui è secondo la natura idoneo, perché,

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