Tommaso Campanella, Politici e cortigiani, p. 152

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e a superiori, come stimò la gentilità, e anche oggi crede il volgo nostro, e chi
a demoni si fida.
3. Quando Dio manda bene le sue grazie, l’esseguiscono i boni ministri per
sé, de quali dice David «millia millium ministrabant ei» e S. Paolo che «sunt
administratorii spiritus»; quando manda qualche male in pena o in prova ed
essercizio, l’esseguiscono l’angeli mali, come fa le piaghe dell’Egitto, «immissiones
per angelos malos», e l’infirmità d’anni 18 in quella femina sanata da
Cristo signor nostro dicente «quam allegavit Sathan», e li medici l’attribuivano
a cause solo naturali, onde S. Crisostomo argomenta e in noi nonché in
Iob, e li Platonici, e Omero si accorse di questo, e Paracelso lo provò, e se
ben si legge che l’angelo bono percosse Sennacherib con li suoi 80 mila e
tanti altri, quando David volse il popolo numerare, questo s’intende che il
bono soprastava alli mali percutienti angeli, perché, come dice S. Agostino e
S. Tomaso, e la ragion lo dimostra, ogni schiera di diavoli ha un angelo
bono che li guida, come la guardia de Svizzeri in Napoli ha il capitano spagnolo.
4. Questi angeli non fur da Dio fatti mali, che dall’ottimo universo non può
derivar malizia, ma essi dalla propria volontà mala e superba son amaliati,
come si prova in Teologia, e la ragion assai ben ci consente, perché, sendo
constituiti d’ente finito e di finito senno e valore e bontà, e insieme di niente
infinito, già che l’omo è solo ente umano, ma li manca l’entità divina con
infinità in valore, dunque ha la non entità infinita, e però non è cielo, non
angelo, non capra, non foco, né altri enti infiniti e in numero, però è defettivo
nel potestativo e conoscetivo e volutivo, e mentre all’infinito ente, onde ha
l’entità, s’accosta col volere e sapere e potere, non pecca né ruina, e questi al
defetto del sapere e potere e volere più asserisce, disobedisce, e pecca e ruina,
tal che nullo ente finito può star senza colpa e pena per conseguenza, se non
in quanto s’attacca all’infinito Dio, e si soggetta e obedisce al primo ente, e
non al suo nonente, e nel primo modo si dice grato a Dio e in grazia, perché

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