Tommaso Campanella, Politici e cortigiani, p. 159

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di timore, e il tira più a basso, ma come il padre battendo il figlio con la
verga ne sente poi disgusto, e per rabbia getta quella verga al foco, così Dio
padre vero del genere umano, perché li suoi padri carnali sono instrumenti
che non sanno il lavoro e fabrica del figlio suo effetto, come la penna non sa
che cosa io scrivo ed è chiaro che il padre carnale non sa come si forma il figlio
in ventre della madre, come ben disse la Macabea, ma è munto con quel
diletto dalla natura, istrumento divino, il seme da parenti, come il latte delle
pecore intra la fiscella dove essa forma il figlio, però è scritto: «Tu Deus pater
noster et Abraham ignoravit nos», talché quanto più lo scrittore che la penna
ama la sua scrittura, tanto più Dio che non il padre carnale ama l’uomo
figlio effetto commune, e però getta la verga tirannica e traditoresca con che
l’ha percosso al foco dell’inferno: «Vae tibi Assur, virga furoris mei», e negar
l’infernoè negar la giustizia e negar Dio, come argomenta S. Crisostomo, e
disse anche come in questa vita son pur in tanti modi puniti per presagio
dell’eterna e futura punizione, che in sé da sé essi cominciano come fabri della
propria mala sorte.
4. Di più, fatti li primi peccati da questa mala gente né vedendosi punire,
«quia non cito fertur sententia super filios hominum», più s’indurano come
Faraone, ma Dio non li punisce, perché mentre vol nel punire o essercitar
altri servirsi di essi, li vol gagliardi, e spesso commodi e potenti, ed essi dicono:
«Quia potui et quis me subiicit propter facta mea?» (d’ogni lor pensiero ci
avvisò la Scrittura), e così vengono in profundum, e si ridono della religione, e di
quelli che temono di peccare, e si rallegrano di saper più di tutti, perché o
sanno saper tradire, o negar la patria e li parenti e amici, e servirsi dell’altrui
lealtà con la lor doppiezza e false promesse a lor disegni, e finalmente tutta la
lor prudenza è sapere che si può peccare senza paura di pena, e servirsi di
ogni cosa in pro del proprio gusto, e burlarsi delli scienziati e delle recondite
dottrine come asini carichi di lettere da essi guidati al travaglio astutamente.
5. Poi quando sentono predicar la giustizia divina con raffrenamento a
boni e presaggio d’eterna pena a malvagi, si ridono, e mezzo vinti da qualche
esempio o argomento forte, subito ricorrono ad Aristotele in questo tempo
tenuto per mastro dell’Accademie, e perché sanno che Aristotele nega l’immortalità
dell’anime umane singulari, secondo l’espone Alessandro, Teofrasto,

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