Tommaso Campanella, Politici e cortigiani, p. 160

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Averroè, Avicenna, Simplicio, Temistio, Simon Porzio, Pomponazio, Ianduno,
S. Gregorio, Origene e S. Ambrosio e tutti Arabi, Greci e Latini, fuor
che S. Tommaso ed Egidio e altri pochi contraposti a questo scandolo, e però
murmurati da Scoto e dal Caietano, non che da i predetti, e dicono infra sé:
Se Aristotele, tanto da essi lodato nelle scole cristiane, nega l’immortalità dell’
anime particulari, e la providenza divina, e la creazione, facendo il mondo
eterno e Dio anima del primo cielo, ignorante di quel che si fa tra noi qua giù,
e nega esserci premio o pena dopo morte, dunque è bestialità credere alli
predicatori e dottori, i quali non solo con l’onorar e difendere Aristotile, e
sovente più che i padri santissimi e dottissimi loro, ma anche con la vita per lo
più contradicono a quel che predicano.
Item, poi tutti, desiderosi di non aver a render conto di lor viziosità e peccati
gravi, desiderano che Aristotile sia vertadero, e non vogliono contra lui si dica
un iota, come apunto fa Antonio Mirandola, vescovo di Caserta, nel libro De
duello
, e si ridono dell’esposizione di S. Tomaso, non solo con Scoto e Caietano,
e laudano l’Arabi e Greci che meglio intesero il testo, e massime Teofrasto
suo discepolo di propria bocca, ma anche vedendo che i santi Gregorio
Nisseno e Ambrosio e Origene e li dottori greci sono contrari a S. Tomaso
nell’esposizione dell’immortalità e così par loro trionfare, mentre trovano argomenti
nell’autorità d’un furbo intronizzato a fomentar la propria impietà, e
di accertarsi che non hanno a render conto a Dio di ciò che fanno, e in vero il
cardinal Bembo non senza causa si lagnava che ne pulpiti, non che nelle scole,
si propongono questioni tra il dottor Angelico e il dottor Sottile, e poi chiamano
Aristotele a decidere come mastro delle scole di Cristo, nel che godono

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