Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 109
prima sapienza guida ogni ente al suo fine. E mille discorsi mo non
ponno fare quanto il senso della propria conservazione fa fare alli
enti. E quel che mi faceva stupire, come l’anima ignora se stessa
e quel che fa, mo lo risolvo così di nuovo, che ogni anima se
stessa sa, poiché opera per vivere tante arti, e ama se stessa, e l’amor
nasce dalla conoscenza, ma non conosce sé con discorsi, perché
il discorso è di cosa dubbia, ma essa per natura e per essenza
sé conosce, e tutte l’altre cose per discorso, in quanto sente se stessa
da quelle mutarsi, e quelle farsi.
Dunque le tante questioni che fa per sapere che cosa sia anima
e come si move, son del senso esteriore che mira in altri e per passione
impara, non del nativo, ch’è essenziale. E come un citarista
saggio sa sonar il liuto senza pensare, mo toccherà questa, mo
quella corda, ma chi impara solo pensa, così l’anima senza consiglio
sé e le sue opere fa, guidata dall’arte sua innata pendente dall’arte
prima; ma di quella pare scordata, perché le passioni esteriori
le fanno imparar nuove cose e la mutano di sé in altro, e poi
bisogna che per riflessione torni a conoscere se stessa. Così io
spesso recito li salmi di Davide, e non li penso, e ne dico cinque e
sei giustamente, senza sapere quel che ho detto, perché mi distoglie
il mirare o pensare altrove. Nondimeno, quando imparai li
salmi, ci pensavo. Così ogni natura, ingenerandosi nelli enti, impara
da Dio quel che ha da oprare, ma poi ignora se stessa per le
passioni aggiunte. Così il calore si rinchiude in terra e scordasi
l’esser venuto dal sole, e si fa casa, et è nemico degli altri calori che
gli la guastano, e Dio si serve di tale ignoranza a far la moltiplicità
delli enti, e pur sempre il calore esala e va in su per la conoscenza
naturale, non discorsiva. E così l’anima nostra tira a Dio sempre
per natura, benché sia scordata della sua creazione per li tanti affetti
corporali; ma come il caldo dal sole, così ella da Dio si derivò.
Ti ringrazio Signore Dio che ti vado conoscendo.
Oltrepassando, dico che pur l’intelletto è senso del commune
e della consimilitudine delli enti, e non delle particolarità,
et è imperfettissima conoscenza, e manco che il senso e la ragione,
perch’è lontano, e vede sol quello ch’è in tutti, non le minutezze;
e tal senso è de’ fanciulli e degl’ignoranti che conoscono