Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 115

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mortale che non ha operazione propria e compate seco. E
con la dottrina d’Aristotile non si può difendere questa verità dell’
immortalità come pur nota il Caietano, ma sì con la scrittura
sacra, come s’è visto, a cui la filosofia sensata nostra accorda, come
più diffusamente dissi in nostro Epilogo Magno.
CAPITOLO 31
Dell’oblio e inganno e passione della mente,
fisionomia e vizii e virtudi

Or nella nostra filosofia è chiaro d’onde nasce l’oblivione e inganno,
benché sia incorporea l’anima e immortale, il che Aristotile non
può dichiarare, perché egli non la mette forma di corpo, poiché
dice potersi per ciò separare, che di nullo corpo è atto, e Averroè
l’intelletto passivo e attivo fa separati. Né quelli che dicono l’essenza
esser atto di corpo, ma non la potenza intellettiva, ponno satisfare,
perché la potenza è essa essenza potente o in essa intrinseca
talmente che tanta differenza non può tra loro stare che una
informi e l’altra no. Né può Aristotile d’elementi insensati anima
fare immortale, poiché nega venir da Dio altro che il moto primo;
né insegnar come informi tanti difformi temperamenti e contrarii
secondo lui. Ma a noi è facile, mettendola involta nello spirito e seco
agendo e patendo. Però, esalando lo spirito e comunicando le
sue passioni all’altro generato, si perde la memoria; ma se fossero
forme nell’anima e spirito, non si perderia mai.
Di più, l’anima s’inganna con lo spirito ingannato, perché s’egli
è puro i suoi discorsi son chiari e compiti; s’è fuliginoso, interrotti,
oscuri, e piglia un moto per l’altro e s’inganna; s’è caldo,
subitanei e sdegnosi; s’è grosso, pochi e languidi. Quinci si vede

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