Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 135

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mare e il fuoco in suso, resta che l’aria senta. Qui Virgilio chiamò
il senso etereo e aereo.
Corre l’aria, più che ogni altro, a riempire il vacuo, e questo essere
atto di virtù senziente di sopra mostrammo, e li venti, che
sono aria gonfia o vapori similissimi all’aria, lo stesso mostrano,
poiché è morte alle cose tenui star condensate, e però rarefatto
l’aere si muove attorno in sfera per cercar spazio d’abitare, né lascia
di sforzarsi mai, finché s’attenua e suso ascende; e li grossetti
vapori nel ventre della terra cercano esito per non unirsi e in acqua
densarsi, e la fracassano, dirompono et escono: gettano edificii
e arbori, tanto impeto portano. Or se non sentissero doglia della
compressione, non fariano questo; ma sembrano angustiati animali
che tutto pigliano a fare per liberarsi.
Dunque, l’aria per la luce vede, per i moti ode, per li vapori odora,
per la tenuità gusta, e per la compressione e caldo e freddo tocca,
pate doglia e piacere, e senza organi tutta sente e consente.
CAPITOLO 7
L’aria esser spirito commune e portar la conoscenza
tra li spiriti particolari chiusi negli animali

Di più, l’aria porta la scienza dall’un uomo all’altro quando si parlano;
dunque egli pur la sente, e quel che noi circonda ha scienza
della voce. L’anima nostra serrata non può significare il suo
concetto all’altra, serrata pure in corpo, il che li saria facile, sendo
sciolte, toccandosi insieme, che sì come un’acqua toccandosi
con l’altra piglia il moto di quella e pate il freddo e sa di quel che
quella pate, così l’un’aria dell’altra. Or lo spirito nostro, ch’è aereo,
non può toccar l’altro spirito, e fu forzato significare per lo
commune spirito, battendolo con gl’instrumenti e figurandolo in
modo che, di quelle figure infacendosi, l’altro spirito viene a sapere

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