Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 178

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CAPITOLO 7
Magia naturale di allungare e abbreviare la vita in universale
Se un uomo all’altro può portar morte e vita, molto più l’altre passioni,
che non arrivano sino a questo estremo, può recare. A tutti è
manifesto che li veneni inducono morte e li contraveneni vita. Ora
il fisico, che le cose velenose e contrarie intende, può ammazzare e
salvare. Ogni cosa che ammazza, o si dona nel cibo, o poto, o per
clistere, o si applica di fuori alla respirazione o traspirazione. Chiaro
è che lo spirito continuamente esala e ha bisogno di ristoro, non
solo esso, ma tutto il corpo, perché, sendo tutto caldo, sempre s’assottiglia
e fa pori nella cote ed esala in aria. Dunque, per rifare
quello che si perde di continuo, bisogna di continuo magnare e bevere,
non solo per cuocere o trasmandare per le vene, in atomi disperso
e scotto, il cibo, ma per ristorare l’umido che più facilmente
esala; e ogni particella ha bisogno d’umidità per contenersi
con l’altra, per poter tirare il nutrimento e non frangersi quando si
fa il moto, e per ristoro del parziale proprio spirito.
Or dico che, secondo i cibi e il poto convengono alla temperie
del composto, allungano e abbreviano la vita. Presentaneo rimedio
d’avvivare e mortificare è quello che bene o male infà li spiriti.
Però uno affannato, dal vino subito piglia ristoro, e uno forte
e vigoroso, dalla cicuta subito è aggravato e cade e muore. E questo
si vede non essere per il freddo, come pensano li medici, perché
la neve e il ghiaccio non inducono tal passione, e i funghi e il
napello l’inducono, e così l’elleboro e ogni cosa tale, per il che
si deve stimare che avvenga dal viscoso fumo e fetido che esala da
queste erbe, et empie li vasi per li quali camina lo spirito, e induce
morte suffocandolo e densandolo; e questo medesimo fa l’antro
d’Agnano e la fossa del frumento vecchio e il carbone acceso
dentro una stanza che non possa respirare, che manda tal fumo
che con la sua grossezza aggrava e vince la sottilezza dello spirito,

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