Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 184

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CAPITOLO 8
Nei cadaveri senso ritrovarsi
Pian piano, si va scoprendo che sia falso il volgare argomento che
tutte le cose non sentono, perché li corpi morti per questo si dicono
morti, perché di senso affatto son privi, giacché s’è visto che
restan le qualità del vivo non poche nel morto, e perché questo intendere
è necessario a tutto questo libro, verrò alle prove; primo,
avvisando che la morte delli animali si fa solo partendosi lo spirito
che nella testa abita e camina per il nervoso geno e dona il moto
e senso esquisito a tutto l’animale; e quantunque non si sfaccia
il corpo, ma resti integro, come nelle suffocazioni si è detto, pur
si muore. Ma la morte delle cose semplici è mutarsi in altro, come
lo spirito in aria, l’acqua in terra o in fuoco.
Dunque, sente lo spirito poscia nell’aria con il senso aereo e perde
la memoria, forse, di questo stato rinchiuso, perché si muta di
gran mutanza che toglie le passioni e moti antecedenti. Ma il corpo
rimane col senso suo ottuso, conveniente alla sua natura, e se spirito
nelli nervi resta ancora, sente, come si vede nelle code d’anguille
e di lacerte, e però elle ultime moiono, com’anco il cuore, ché
li vasi dello spirito sono stretti e non lo lasciano uscire. E si vede che
quando scorticano li bovi, si muove in alcuni luoghi la carne e si ritira
con manifesto senso. E gli uomini uccisi in presenza dell’uccisore
gettan sangue e bollono quasi d’ira o di timore, sentendo, per
l’effetto dell’aria commune, l’odioso nemico presente; e questo è
segno usato per scoprire l’omicida. Talché resta l’affetto non solo

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