Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 189

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CAPITOLO 10
Non solo rimanere il senso lontano del senziente o poi ch’è sfatto,
ma anco moltiplicarsi, e altri in sé convertire,
si prova nella morsura della tarantola di Puglia e de’ cani rabbiosi,
e si scuopre gran magia occulta da nullo fin mo intesa

Ma tutte queste cose sono verificate nella morsura de’ cani rabbiosi
e delle aragne di Puglia. Nascono quest’aragne, che li Tarentini
tarantole dal loro paese appellano, sotto il cocentissimo sole
estivo. Sono grandi quanto una noce più e meno; somigliano al
ragno di piedi, mani e figura; son colorate di giallo, verde e rosso,
negro, pavonazzo e misto. Mordono i rustici che mietono e scugnano:
per alcun tempo costoro sentono poco dolore, se non
ardore nella cicatrice; poi si debilitano, imbalordiscono e cadono
privi mezzo del moto e senso. E vanno alcuni furiosi dove vedono
qualche veste colorata di quel colore del ragno che li ha morsi,
corrono appresso e seguitano chi le porta. Godono del suono,
altri di arpa, altri di liuto, altri di citara, e ognuno d’un proprio
suono; e ballano e saltano assai senza far male a nullo, e se cessa il
suono, cadono a terra languidi e smorti, ma vogliono sempre ballare,
e tanto sudano che si stancano e cadono e risanano con il sudare
e stancarsi tante volte. Nondimeno, dopo sanati, vedendo altri
morsicati saltare, essi pure tornano alla medesima passione e
saltano; e ogni anno, in quel tempo che fur morsi, patiscono l’istesso,
ma non sempre; e dicono li villani che tanto ballano fin che
muore la tarantola che li ha punti.
Dicono i filosofi volgari del paese che sia finzione di poltroni,
e li Peripatetici dicono esser secreta causa. Io non credo che quei
poverelli pagassero tanto l’anno per finzione a sonatori; né perché
s’ignori la cagione si deve negare il senso da tanto tempo accertato.
Dunque, io dico che quella tarantola sia di caldissimo e sottilissimo
veleno e di perversa qualità rispetto a noi, e però, mordendo,

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