Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 196

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Dunque, era poi avvivata dall’anima del patrone; però non si putrefece
in lui. Ma se questo è vero, non si deve putrefare, morendo
il servo, imperoché non era dalla sua avvivata dopo che gli fu tagliata,
altramente il figliuolo disceso dal padre e dalla madre, morendo
i genitori, egli stesso doveria morire, e così una rama de arbore,
sendo insertata in altro arbore, morendo il primo dond’è
recesso, morirebbe egli ancora donde fu innestato. E pur come
potea l’anima del servo avvivare cosa divisa e lontana?
Io rispondo che tutto il mondo vive d’un comun senso, e di più
ci è la sua mente, come in noi la nostra, e di più c’è il senso particolare
a ciascheduna cosa difusa del comune, come la luce dal sole,
la quale, multiplicata poi et impressa dentro la terra, diventa
rossa, bianca, verde, e di tante apparenze, che ogni cosa il proprio
grado ha dal caldo nativo suo, benché tutto venga dal sole; ma s’è
appropriato ad ogni particella, secondo la temperie fatale avvenuta
dal concorso delle cause agenti e pazienti insieme, a misura
della participalità dell’idea del Fabro universale. E senza dubbio
le cose consimili pateno, nascono e morono consimilmente: onde
l’amico pate per l’amico, e quel medesimo influsso celeste che
serva il simile, serva il consimile. Questo si vede chiaro in naturale
e astrologica scienza, secondo appresso si dirà.
Per tanto dico, che sì come, morendo la tarantola che morsicò
alcuno, comincia a mancar la passione di colui, perché le medesime
cause universali, non dico particolari, che servavan le tarantole
servavan anco il suo veleno vivo nel paziente, così dico che le
medesime cause universali teneano in vita quel servo e la parte del
naso del patrone da quello tratta, e morendo il servo morì il naso.
Due cose erano in quella carnicella: il nativo temperamento, e
questo era del servo; poi vi era il nutrimento che s’aggionge alla
temperie prima, la qual sempre esala per il calor proprio et esterno
che la attenua, onde ha bisogno di restorar quello che esala col
cibo; e così dico che questa vita che si continua per la nutrizion
pendea dal patrone, perché dalla porosità del suo naso correa l’alimento
alla porosità della sua gionta, tirato dal caldo che per natura
lì amplifica più, dove trova il suggetto.

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