Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 22

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man del pescatore per l’odor suo grave allo spirito della mano per
la corda trasportato, come diremo de gli animali parlando. La
donnola è calda e vivace, e l’odore ch’esce dalla bocca del rospo
è fresco, atto a nutrir il suo focoso spirito e proporzionato a lei;
però, vedendo il rospo, teme d’andar subito a lui, e va intorno girando
con timore e amore, finché quello, accorto, apre la bocca,
et essa si lascia vincere dal piacevole senso. Così il cocodrillo
apre la bocca all’ibice che, per mangiarsi i vermi della gingiva di
quello, volentieri ci va, e il benefizio è commune. S’acqueta il tauro
sotto la ficaia, perché l’odor del fico è soave a lui, come a noi
delle rose; e sì come passando per una speziaria ci fermiamo a gli
odori, cosí il bove al fico che volentieri si magna. Che meraviglia
se il gallo è temuto dal leone, poiché noi pure temiamo il serpe e
la tarantola assai più picciola di noi? È il leone di spiriti grossi per
i pasti gravi che magna e gran calore che tiene, e il gallo di sottili,
acuti; però, unendosi questi spiriti tenui per l’aria sparsi, penetrano
quelli del leone e li fanno riverenti.
Lo stesso può far la vista; come un uomo, vedendo l’altro, spesso
s’abbaglia quando il lume degli occhi uscente, per riflessione,
e affetto della vivezza del più vigoroso, al men vigoroso entra, e
offende, e lo rende riverente; e tra li più disposti a tal passione
questo più si vede, come chi patio nausea in mare, de facile, vedendo
il mare, vomita per anticipato senso. La voce pur atterrisce
di picciolo animale, come a noi lo stridere del sovero quando
s’incide, perché acutamente l’aria move, e quello lo spirito
nostro penetra e punge com’è punto. E il padre fra’ Gregorio di
Nicastro non può sentire strilli di cani e di figliuoli, né sospiri.
A Taverna osservai un cane che, quando sonava la campana,
strillava.
Gli animali patiscono il freddo e caldo dell’aria, perché son dediti
al ventre, e non pensano ad altro come l’uomo, onde da quella

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