Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 41

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piovane calde avvivarsi e diventar sottilissimi serpi; perché sono
ammollati dall’umido e dal caldo, essendo essi forati, quell’umido
s’attenua e spirito dentro fassi. Anzi le fila e cordelle di lino
animali insetti pur vidi fra l’acque tepide divenire.
Vero è dunque che ogni cosa d’anima sia piena, poiché tutte
calor contengono; e, quel ch’è mirabile, non solo di blando calore,
ma di possente avvivarsi le pirauste, che son farfalle, nelle fornaci
di Cipro Plinio vide, che, di scorza salda e delicata cinte, sono
dal licor fuso e indurato estratte. Or, poi che l’anima di niente
non si fa, e sempre dal calore generar si vede, ché nei ghiacci e
nevi animali non nascono, è forza dire che il calor sia il suo agente,
e ch’essa, fiato.
CAPITOLO 6
Scioccamente Aristotile attribuire la produzione dell’anima
e fabrica del corpo al moto del generante

Ma Aristotile, scordato di questa dottrina da lui confessata, parlando
poi della generazione degli animali e dell’uomo, nega che
nel seme ci sia anima che lo converte in sì bella statua, ma dice che
non sia anima, né in atto primo né secondo, cioè né che sia la vita,
né l’operazione, come uno che non ha l’arte del suonare, né suona.
E forzato a dire come il seme produce anima poi, e forma sì
stupendo artificio del corpo, risponde che questo lo fa in virtù del
generante che sparse il seme. E cercando come il generante, assente
o morto dopo il coito, può dar virtù al seme d’animarlo e architettare,
se anima col seme non getta, risponde che basta il moto
ch’egli ha impresso nel coito, il qual resta nel seme come in una
bacchetta agitata, che per un pezzo poi da sé si muove. Stultizia
grande di questo savio, poiché il moto, ch’è un niente in esistenza,
vuol che possa far anima, e lavorar il corpo distinguendo tante
ossa, nervi, vene, arterie, viscere, con sì mirabile industria e possanza
tale, che più tosto i buoni filosofi a Dio convenir dicono che
all’anima e al calore, non che al moto.

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