Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 42

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E tanto meno Aristotile dir lo deve che nelle putride generazioni
conosce spirito, e qui vuole che di menstruo sangue, che l’anima
della femina getta fuori come vizioso, non atto a convertirsi
dalla forza dell’anima in nutrimento, possa il moto, che non è ente,
ma passivo transeunte, convertirlo in sì stupendo lavoro.
Di più, per stare nel suo esempio, il moto della verga, assente
il motore, sempre si debilita e pere; ma nell’utero, a cui nulla attiva
virtù egli dona, e nell’ovo, sempre questo moto avanza e nobilita
e affina l’architettura. Ma egli teme di far agente e paziente
una istessa cosa; e pur nei semi delle piante si vede che germogliano,
convertendo lo svegliato spirito la sua mole in pianta; e qui
agente è il calore, paziente la materia.
Né disdice, com’ei pensa, che il moto naturale sia fatto dalla
forma interna, poiché la natura è principio di moto intrinseco, secondo
lui. Però male argomenta che l’edificatore, essendo altro
che l’edificato, e il dottore dal discepolo, che non possa l’interno
calore fabricare. Questi suoi esempi sono dell’arte e della violenza
agenti estrinseci, e non della natura; ma io altrove questa opinione
reprobai. Solo qui mi basta aver detto che l’anima dal menstruo
infetto, che fa fare aborti e sterilità alle femine, e li cani arrabbiare,
e li germi seccare, non può uscire; né il corpo fabricarsi
per il moto ch’è un atto manchevole vicino a niente; e che principio,
non instrumento, sia il calore che converte il seme nelle parti
bianche et esangui, e poi il sangue puro nelle rosse e sanguigne.
CAPITOLO 7
Dalla morte e altre passioni dell’animale si prova il medesimo
Così il freddo si scorge cagion della morte dell’animale, come
il calore della vita, poiché tutti i morienti si raffreddano, partita
l’anima. Non però segue che non abbia senso il freddo, ma
che l’anima nel calore consista. E Aristotile, di questo parlando,
disse che la vita è permanenza del calor nativo, e la morte mancanza,

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