Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 78

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esalante spirito. E questi che sono sì affetti presentiscono le passioni
dell’aria dove si fanno le cose, e le predicono, e poi non si ricordano
di quel che han detto, onde Galeno, De morbis non vulgaribus,
dice: quelli che molto calore hanno, il spirito loro tanto si
esacutisce che in un momento di tempo tutto presentiscono e veggono.
L’istesso disse Aristotile delle Sibille e Bacche. Talché
non è meraviglia se le mosche, di tenuissimo spirito, non hanno
memoria, ché questo non significa che la parte senziente non sia
pur memorativa, ma che il medesimo senso non è atto sempre all’una
e all’altra operazione.
Pur noi, quando di qualche cosa ricordare ci vogliamo, pensiamo
al luogo, al tempo e alli simili finché ci ricordiamo, quando
la memoria è mezza perduta, e rinoviamo, col simile nuovo moto,
il simile sopito che per l’esalamento e per giunta d’altri moti era
quasi svanito. E Pietro mio di cocentissima natura ha senso sagacissimo,
che di poco argomenta assaissimo, ma pochissima memoria;
né pure li spiriti grossi fanno memoria, perché poco si
può imprimere il moto in loro; ma quel che resta è perpetuo.
Qui ti ridi de’ Peripatetici, che pongono la memoria corporale
contra i decreti proprii, e dicono che il cerebro secco fa gran
memoria e l’umido poca. Anzi, per contrario, il secco per il troppo
calore è di memoria poca, e così pur l’umido di molta memoria,
ma di pochissimi oggetti, perché le cose delicate non s’imprimono
in loro. Ma li spiriti temperati sono atti a ricevere e tenere
e communicare al vegnente ogni dottrina. Però con medicine si
trasmuta il temperamento dello spirito e si fa più memorativo; e
l’arte della memoria locale, al senso esposta in cose assai sensibili
e note, ponendo le cose cognite per simiglianza, mostra che la
memoria sia senso indebolito che così si rinova e fortifica. E se la
memoria segue il temperamento, dunque sta in conoscente corporeo
e passibile e non incorporeo, come dicevamo.

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